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Messaggio Da Maurizio Ven Dic 25, 2009 1:23 pm

L'intervento del direttore de La Stampa, Mario Calabresi, "Il mondo da inventare"
Ogni neonato che verrà al mondo nella notte tra l'8 e il 9 aprile potrà vantare per tutta la vita di aver portato la popolazione del mondo a raggiungere quota sette miliardi. Lo sostiene il settimanale «Time» ma nessuno potrà dire con sicurezza se ciò accadrà davvero il prossimo anno o se dovremo aspettare il 2011. L'incertezza è la cifra del tempo che viviamo, una stagione della storia in cui la fede nel progresso e nel miglioramento del tenore di vita di ogni generazione è crollata.

Nessuno si azzarda a scommettere che la recessione sia finita davvero, la crisi superata e il futuro roseo, ma la storia ci rincuora raccontandoci che i cicli economici si alternano e i primi segnali di luce si cominciano a vedere. Finisce un decennio faticoso, cominciato con l'euforia dell'euro ma subito segnato dal crollo delle Torri Gemelle, dall'affermarsi del terrorismo islamico e dal dilagare della paura nelle società occidentali, concluso con la più grande distruzione di ricchezza e di lavoro dalla Seconda guerra mondiale. Abbiamo vissuto anni cupi, in cui è cambiato il nostro modo di vivere, viaggiare e relazionarci con gli altri, oggi non possiamo che sperare di tornare a respirare, a crescere e a costruire.

Il panorama che abbiamo davanti, superate le macerie di un crollo senza precedenti, sarà però sostanzialmente diverso da quello che eravamo abituati a conoscere: dopo aver parlato per anni della Cina come di una affascinante novità, ora dovremo prendere atto - come ci suggerisce l'«Economist» - che è diventata una nazione «indispensabile». Nel 2010 dovrebbe superare il Giappone come seconda economia mondiale e sarà cruciale per ogni decisione internazionale, dal commercio all'ambiente.

Anche le altre grandi economie «emergenti», dal Brasile all'India fino all'Indonesia, sono diventate una realtà: attori che hanno conquistato la scena mondiale e hanno sancito che il nuovo G20 conta ben più del G8, il vecchio club dei grandi della Terra. La geografia del pianeta è sconvolta, mentre il cuore dei consumi del lusso sarà sempre più Pechino e il calcio celebrerà il suo evento più importante in Africa, l'Europa dovrà fare i conti in fretta con la sua progressiva emarginazione. Non è più tempo per rendite di posizione e per coltivare antiche idee di grandezza, se non vogliamo scomparire dal tavolo delle decisioni più importanti - come è accaduto al vertice sul clima di Copenhagen - noi europei dobbiamo imparare a parlare con una voce sola. E i giovani del Vecchio Continente, dipinti come senza avvenire, vanno guidati verso i lavori del futuro: ingegneri innanzitutto, capaci di costruire le nuove «energie verdi».

Le bolle speculative che hanno distrutto l'economia e la finanza mondiale restano in agguato: il nuovo anno non può dimenticare nuove regole internazionali, così come la ripartenza richiederà di abbandonare la logica del breve termine per adottare una filosofia dello sguardo lungo, capace di programmare uno sviluppo graduale e sostenibile.

Sarà un anno cruciale per il presidente americano Barack Obama, che sarà costretto a far ripartire l'America e a dimostrare che il suo idealismo non è solo affascinante esercizio verbale ma può avere effetto sulla realtà. I suoi concittadini daranno il loro verdetto a novembre quando si rinnoveranno l'intero Congresso e un terzo del Senato. Dall'altra parte dell'Atlantico, in Gran Bretagna, alla fine della primavera potrebbe essere archiviata la lunga stagione laburista.

Gli italiani, «Popolo che vive in apnea, resiste ma non crea», secondo la definizione dell'Istat, saranno chiamati a votare alle elezioni regionali ma la vera scommessa sarà tirare fuori la testa dall'acqua. Questo 2009 è stato un anno di veleni, risse e rabbia, e anche se non si ha nessuna fiducia in un vero percorso di riforme è difficile immaginare che possa andare peggio. L'Italia perde peso nel mondo ma il nostro sistema continua a produrre eccellenze: alla premiazione del Nobel i fiori arrivavano da Sanremo e i nostri astronauti Vittori e Nespoli in autunno raggiungeranno la Stazione spaziale internazionale, che verrà completata con gli ultimi due moduli abitativi completamente progettati e costruiti in Italia. Si chiameranno Nodo 3 e Cupola, quest'ultimo servirà per alzare gli occhi e guardare le stelle: il migliore augurio per il nostro futuro.
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"Il mondo da inventare" Empty Re: "Il mondo da inventare"

Messaggio Da Maurizio Sab Dic 26, 2009 9:38 am

"Il futuro colorato di speranza"ENZO BIANCHI
Il bilancio che ciascuno di noi fa sui dodici mesi trascorsi è sempre condizionato dalle aspettative che aveva nutrito nell'anno precedente e, specularmente, orienta le speranze per l'anno a venire, soprattutto quando ci veniamo a trovare alla fine di un decennio: allora attese e disillusioni si fanno più forti, quasi che il misurare il tempo in cifre tonde e simboliche - gli anni «zero» del terzo millennio - sia percepito con maggiore intensità e che le svolte impresse al corso della storia debbano assumere un carattere più marcato.

Così, il dover constatare anche alla chiusura di quest'anno che ben poco è stato fatto per sanare situazioni negative nella convivenza umana, in ambito nazionale come a livello planetario, risulta fonte di particolare amarezza. Non solo, sembra quasi che il protrarsi indefinito di profonde ferite inferte all'umanità e al creato finiscano per trasformarsi in ineluttabili calamità, cui si è fatta l'abitudine e che si derubricano a problemi cronici, non più degni di attenzione e di impegno. È il caso delle guerre e delle patenti violazioni dei diritti umani in certe aree del globo: i conflitti vengono dimenticati, le vittime ignorate, le sofferenze banalizzate, come se si trattasse di ciclici eventi naturali, analoghi all'alternarsi delle stagioni.

La crisi economica, per esempio, ha solo superficialmente scalfito la fiducia nell'autoregolamentazione del mercato globale, suggerendo al massimo alcuni accorgimenti per una maggiore vigilanza, mentre le ingiustizie di fondo che pervadono i rapporti produttivi e commerciali non sono state considerate degne di seria attenzione. Anche la mancanza di legalità o l'irrisione dello stato di diritto, il non rispetto delle minoranze e dei più deboli e indifesi, il diradarsi delle strutture di solidarietà e di integrazione sociale paiono ormai atteggiamenti passivamente acquisiti, la cui disumanità non interpella più le coscienze. A poco a poco ci si assuefa alla barbarie quotidiana, si rinuncia alla sana indignazione contro gli attentati portati alla dignità di ogni essere umano, si considera scontata l'impossibilità del dialogo civile, ci si rassegna a una sorda lotta di tutti contro tutti.

Eppure l'animo umano fatica a rinunciare alle aspettative di miglioramento, è portato a «sperare contro ogni speranza», soprattutto là dove percepisce che non è in gioco solo il mero interesse personale, ma il futuro delle generazioni che si affacciano oggi all'esistenza e di fronte alle quali saremo considerati responsabili: il desiderio di riconsegnare la società civile in condizioni migliori di quelle nelle quali ci è stata affidata da quanti ci hanno preceduto anima il cuore e l'intelligenza di ogni essere umano degno di tal nome. Per i cristiani, in particolare, cittadini come gli altri e solidali con loro nelle vicende quotidiane, questo desiderio assume anche i tratti dell'annuncio di verità in cui si crede: non dogmi astratti, ma convinzioni che muovono il pensare e l'operare. Allora non è utopia sperare che l'annuncio evangelico delle beatitudini, il disarmo di ogni inimicizia, il prendersi cura di chi è nel bisogno, il perdono per le offese ricevute possano trovare fecondo terreno di crescita non solo nei cuori dei singoli, ma nel tessuto stesso dalla convivenza civile: queste speranze non sono il non-luogo dei nostri sogni, ma l'anelito insopprimibile che rende sopportabile anche un presente intristito nel suo ripiegarsi su se stesso.

Cesserà l'imbarbarimento dei rapporti quotidiani? Rinascerà la solidarietà tra le generazioni e le popolazioni della terra? Si concretizzerà la cura e la custodia per un creato affidato alla mano sapiente dell'uomo? I più deboli troveranno nei più forti sostegno e non oppressione? Le carestie, le guerre e le pandemie finiranno di essere considerate ineluttabili e verranno contrastate nelle loro cause e nei loro effetti? La pace ritroverà nel concreto della storia il suo significato di vita piena e ricca di senso? E ancora, crescerà il dialogo franco e autentico all'interno della chiesa e tra le chiese? Ci si aprirà all'ascolto dell'altro, al rispetto delle sue convinzioni, al discernimento delle sue attese, indipendentemente dal suo credere o meno? A questo dovremmo pensare quando ci scambiamo gli auguri: non a un gesto formale e scaramantico, ma a una promessa di impegno e a un'assunzione di responsabilità. Perché lo sguardo critico e sereno sul grigiore del passato è già apertura a un futuro colorato di speranza.
Maurizio
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