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Messaggio Da Maurizio Dom Dic 06, 2009 2:58 pm

Fonte: La Stampa
Basteranno dieci giorni per salvare il pianeta? Da domani fino al 18 dicembre leader di governo e scienziati dovranno prendere decisioni vitali per il nostro futuro e non sono per nulla d’accordo su che cosa sia necessario fare. Ancora si discute se il riscaldamento globale registrato negli ultimi anni sia in corso, o se non si sia invece arrestato - come alcuni sostengono - nel 1998. L’aumento di CO2 nell’atmosfera è poi davvero dovuto alle attività umane o è una semplice conseguenza delle temperature più elevate? Il ciclo climatico che stiamo attraversando è cominciato con la rivoluzione industriale o è uno dei tanti che si sono susseguiti sulla Terra negli ultimi millenni?

Ma qualunque sia la risposta a queste domande, è evidente a tutti che sono in corso importanti mutamenti climatici con i quali dovremo fare i conti. Dal 1980 la banchisa artica ha cominciato a sciogliersi, con una accelerazione che l’ha portata a perdere quasi 20 centimetri di spessore l’anno tra il 2004 e il 2008. Per la prima volta, i passaggi a Nord-Est e a Nord-Ovest sono privi di ghiacci. Se questa tendenza non si arresterà, molte zone costiere saranno sommerse dalle acque dei mari, il cui livello crescerà - secondo gli ultimi calcoli, di circa 1,4 metri.

La desertificazione che sta riducendo alla fame molte popolazioni dell’Africa sta avanzando verso l’Europa e riguarderà anche parte della Spagna e dell’Italia. Improvvise precipitazioni e inondazioni hanno colpito paesi torridi come l’Arabia Saudita.

Ma forse il problema più grave è che l’amento del CO2 nell’atmosfera ha superato la capacità di assorbimento di questa gas da parte degli oceani, che si stanno progressivamente acidificando. L’intera catena alimentare degli organismi marini può essere messa in pericolo da questo fenomeno, che distrugge l’alimento base: il plancton.

Mentre la Terra diventa un luogo sempre più inospitale, la popolazione mondiale cresce senza sosta e supererà i nove miliardi nel 2050. Gli esperti sono concordi almeno nell’affermare che il nostro pianeta non ha risorse sufficienti per sostenere una simile massa di esseri umani, a meno di non introdurre profonde modifiche nelle abitudini alimentari (soprattutto in Occidente) e nelle tecniche di coltivazione, che dovranno fare largo uso di organismi geneticamente modificati.

C’è molto da fare. Ma ci sono anche molte cose che i singoli individui possono fare, in attesa che i loro governi si mettano d’accordo.


Ultima modifica di Maurizio il Gio Dic 10, 2009 1:34 pm - modificato 3 volte.
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Messaggio Da Maurizio Lun Dic 07, 2009 9:07 am

Fonte: La Stampa (articolo di ieri)
Si comincia domani, ma già si sa che tutto verrà deciso negli ultimi giorni, quelli decisivi. I giorni in cui a Copenhagen, al Summit mondiale sul cambiamento climatico (COP15) ci saranno i leader del mondo, a cominciare da Barack Obama.

Dopo aver praticamente annunciato nell'incontro con il premier cinese il fallimento del vertice, il presidente degli Stati Uniti fa sorgere nuove speranze di un accordo «vero», concreto, con l'annuncio che sarà presente nella capitale danese proprio tra il 17 e il 18 di dicembre, quando si tireranno le somme. Secondo molti osservatori si tratta di una strategia accuratamente studiata per costruire l'impressione che l'intesa che verrà auspicabilmente siglata dai 192 stati partecipanti possa rappresentare un vero successo, anche se – a meno di colpi di scena, e soprattutto di generose elargizioni e concessioni da parte dei Paesi ricchi – non si riuscirà ad andare al di là di un accordo politico, che nel corso del 2010 si cercherà di trasformare in qualcosa di più tangibile e cogente, con l'adesione dei due Paesi massimi produttori di Co2 del pianeta (e, incidentalmente, i più potenti): Usa e Cina.

Sicuramente il summit di Copenhagen sarà un grande spettacolo mediatico e diplomatico. Con il passare dei giorni la lista dei leader mondiali si è allungata raggiungendo cento capi di Stato e di governo. Ci sarà Obama, ci sarà il brasiliano Lula, ci sarà l'indiano Manmohan Singh, il russo Dmitri Medvedev, ci saranno tutti gli europei, compreso il premier Berlusconi. L'Italia formalmente è allineata alle posizioni dell'Unione Europea, e sulla carta si dice disposta a compiere importanti sacrifici. Un'adesione però assolutamente non convinta, come dimostrano le battaglie del ministro Prestigiacomo per depotenziare il «20-20-20» deciso in Europa, e di Berlusconi per tentare di ottenere la possibilità di sforare le quote di emissioni già stabilite.

Battaglie concluse senza successo, per alleggerire gli adempimenti in nome degli «interessi dell'economia reale», in cui ci siamo trovati come nemici Germania e Gran Bretagna, e come alleati Paesi politicamente deboli dell'ex est-europeo ad alte emissioni, come la Polonia e la Repubblica Ceca. Al Bella Center - il centro congressi che accoglierà per due settimane 15 mila persone tra giornalisti, lobbisti, rappresentanti delle industrie, ambientalisti - l'organizzatore, il rappresentante delle Nazioni Unite Yvo de Boer, spera avvenga «uno storico punto di svolta nella lotta al cambiamento climatico».

Nonostante le probabilmente interessate campagne sul «ClimateGate» e i pochi studiosi «clima-scettici», sappiamo che l'aver scaricato nell'atmosfera megatonnellate di gas serra ha provocato un riscaldamento del pianeta di cui vediamo già le prime conseguenze. A Copenhagen la World Meteorological Organization confermerà che questo decennio è il più caldo da quando ci sono misurazioni standard. Sappiamo che l'80% di queste emissioni le abbiamo prodotte noi, cittadini del Primo Mondo industrializzato; sappiamo che i Paesi in via di sviluppo stanno raggiungendoci su questa strada e superandoci. Non possiamo chiedere ai poveri di restare poveri per salvare il pianeta.

Rallentare prima e ridurre poi le emissioni di qui al 2050 sarà un percorso lento e costoso. Molto costoso. Ai tavoli del COP15 si dovranno decidere quali saranno gli obiettivi di contenimento delle emissioni di Co2 e degli altri gas climalteranti per il 2020 e per il 2050. Gli obiettivi di riduzione finora promessi da Europa, Usa e Giappone sono del tutto insufficienti. E il mondo in via di sviluppo chiede quanto il mondo ricco pagherà (come risorse e trasferimento di tecnologie) per favorire la transizione a un'economia pulita e mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Il Primo Mondo offre un pacchetto di 10-12 miliardi per il primo triennio; la Banca Mondiale e altri istituti dicono che ce ne vogliono almeno 100. I Paesi emergenti ne chiedono 400. Diplomazia, business, ambiente, soldi, potere: la partita si giocherà su questo.
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Messaggio Da Maurizio Mar Dic 08, 2009 9:37 am

Vertice di Copenaghen, cominciano i lavori
Fonte: La Stampa
Dopo il via ufficiale ieri del vertice storico Onu sui cambiamenti climatici, a Copenaghen oggi si entra nel vivo delle decisioni tecniche che dovranno spianare la strada a ministri e capi di stato. Il nodo resta quello degli impegni sulla riduzione dei gas serra. L’obiettivo quello di limitare ai 2 gradi l’aumento di temperatura. E tutti guardano ai Paesi a economie emergenti. India, Cina e Brasile hanno annunciato un accordo con il quale si presentano a Copenaghen.

Sul tavolo però soprattutto i finanziamenti proprio per i Paesi a economie emergenti che chiedono uno sforzo maggiore ai paesi ricchi. Si discute su una formula che prevede immediati e rapidi aiuti economici, anche se limitati nelle risorse, da affiancare a impegni più sostanziosi a medio termine. Lotta alla deforestazione e trasferimento di tecnologie gli altri due grandi capitoli di discussione a Copenaghen. E, in prospettiva, un accordo politicamente vincolante da tradurre nel 2010 in vincolo legale.

Il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, intervistato dalla tv francese Canal+ ha detto che «la firma di un nuovo trattato sul clima non è possibile» ma si potrà comunque raggiungere un accordo che contribuirà alla riduzione delle emissioni dei gas nocivi: «Credo che non ci sarà un trattato a Copenaghen, non è possibile, non è stato preparato, ci sono alcuni dei nostri partner che non sono preparati», ha affermato Barroso, aggiungendo: «Quello che cerchiamo di ottenere adesso è un accordo che dopo metteremo in termini di legge affinchè diventi un trattato».

Barroso era a Parigi dove si è intrattenuto per una colazione di lavoro all’Eliseo con il presidente francese, Nicolas Sarkozy. «Credo che sia ancora possibile giungere ad un accordo a Copenaghen», ha tagliato corto il presidente dell’esecutivo Ue, riferendosi ad un’intesa sui «grandi elementi, in particolare la limitazione dei gas a effetto serra per i Paesi più industrializzati, ma anche qualche contributo finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi a questa minaccia». «Dobbiamo trovare un accordo e l’Europa ha dato l’esempio», ha sottolineato ancora il portoghese, ricordando che i Ventisette sono gli unici ad aver varato norme ambiziose contro i gas nocivi. «Siamo i soli ad aver adottato con una legge, e non solo con dichiarazioni politiche, la riduzione del 20% (delle emissioni di Co2, ndr) per il 2020 e siamo pronti ad andare anche oltre se gli altri fanno uno sforzo, il che non è ancora il caso», ha concluso Barroso.
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Messaggio Da Maurizio Mer Dic 09, 2009 6:15 pm

L'UE accelera: accordo vero entro sei mesi
Fonte: La Stampa
Sul pianeta che si scalda l’Europa prova a non mollare. I capi di Stato e di governo dell’Ue chiederanno alla Conferenza sul Clima di Copenhagen di giungere «preferibilmente entro sei mesi» a «un’intesa che porti ad uno strumento vincolante in vigore dal gennaio 2013» alla scadenza del protocollo di Kyoto. I Ventisette, a leggere la bozza di conclusioni circolata ieri del vertice che si apre domani, vogliono fare in fretta, sperano di chiudere già in giugno all’incontro in calendario a Bonn per discutere del pianeta che si scalda. Sanno che il vertice danese non dirà l’ultima parola, ma sperano che si arrivi il più vicino possibile. Così promettono: «Taglieremo le emissioni del 30% nel 2020 rispetto al 1990 se gli altri faranno almeno il venti».

Si intrecciano i temi e le emozioni intorno della Conferenza sul clima che ieri ha archiviato la giornata numero due. Ci sono le paure, come quelle suscitate dai numeri firmati Onu secondo cui questo decennio è stato il più caldo da che li si misura, cioè dal 1850. Ci sono le parole, dolci con l’America che riconosce finalmente che il CO2 è pericolosa. Ci sono le aperture, ad esempio i cinesi che promettono di essere costruttivi. E ci sono le minacce, più moderate quelle della militante Usa Naomi Klein che immagina un’altra Seattle, più dure le altre raccolte dalla polizia danese che si dispone a affrontare le frange violente degli antagonisti in marcia verso il Bella Center.

Nell’immenso spazio fiere i delegati lavorano con tutta la serenità ammessa dalle circostanze. Ieri, le indiscrezioni su una bozza di intesa scritta dai danesi ha fatto saltare i nervi al club dei meno ricchi. Il testo fissa un percorso di rientro molto duro per gli emergenti, ai quali sarebbe consentito di generare un volume di emissione di circa la metà rispetto alle economie avanzate, 1,44 tonnellate di anidride carbonica pro capite contro 2,67. Il documento ha provocato la reazione «furiosa» degli interessati.

Per questo sarà importante misurare il grado di compattezza che l’Europa riuscirà a cementare nella due giorni di Bruxelles. Gli inglesi vorrebbero il 30% subito, i polacchi sono per ora contrari a cifrare gli impegni. Francia e Italia sono titubanti, temono di spingersi troppo oltre rispetto ai grandi inquinatori. Da questi, però, arrivano segnali incoraggianti. Il Wwf ha definito «grande notizia» che l’Agenzia Ambientale americana abbia ammesso che i gas serra danneggiano la salute: «Getta le basi perché l’inquinamento da riscaldamento globale sia regolamentato col Clean Air Act». Il presidente Obama potrebbe convincersi ad alzare la sua offerta di taglio del CO2.

Gli aruspici del clima cuciono i messaggi americani con le dichiarazioni cinesi di ieri e assicurano di vedere più sereno. Il ministero degli Esteri ha chiesto ai Paesi ricchi di «dimostrare la loro sincerità e la loro volontà politica». Sollecitando i grandi a seguire il protocollo di Kyoto, Pechino auspica in sostanza cospicui esborsi per sostenere l’azione delle economie emergenti. In cambio l’ex celeste impero promette «un’azione costruttiva» a Copenhagen.

Difficile il capitolo dei soldi. L’Europa è divisa, nel bozza del Consiglio Ue le cifre sono in bianco. L’Onu vuole 10 miliardi per la partenza rapida. Il Brasile dice che «senza finanziamenti adeguati non si avrà un accordo adeguato». Sono gli impeti che riempiono un momento in cui bisogna lavorare pensando al pianeta che si riscalda come i manifestanti. Gli attivisti di «Climate Justice Action» vogliono bloccare la Conferenza il 16. Con l’aria che tira fra la «Politi» danese potrebbe non finire bene.
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Messaggio Da Maurizio Gio Dic 10, 2009 1:33 pm

Accordo Cina-India sul Clima
Ecco l'articolo proposto in merito da La Stampa (tratto dal sito web del quotidiano: http://lastampa.it/):
«Kyoto non è negoziabile»

COPENHAGEN

I negoziati in corso alla Conferenza sul clima di Copenaghen sono in primo piano al vertice Ue di oggi e domani a Bruxelles, dove i leader europei cercheranno di concretizzare l’impegno a favore dei paesi più poveri. L’obiettivo della presidenza svedese di turno della Ue è di raccogliere promesse per almeno sei miliardi di euro per finanziare la preparazione dei paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2012 (fast start), in vista di un nuovo Trattato sul clima che dovrebbe sostituire il Protocollo di Kyoto dal primo gennaio 2013.

Intanto secondo Le Monde i paesi emergenti non intendono chinare il capo e farsi imporre dai paesi sviluppati le loro condizioni per contenere il riscaldamento climatico. In un testo confidenziale, elaborato dalla Cina in accordo con India, Brasile, Sudafrica e Sudan, vengono tracciate le linee dell’accordo che risponderebbero ai loro desiderata. Il testo, di cui il quotidiano francese ha ottenuto copia, potrebbe imporsi come filo conduttore delle trattative dei prossimi giorni alla Conferenza sul clima di Copenaghen, mentre la bozza della presidenza danese, anticipata dal britannico Guardian il 3 dicembre, aveva suscitato la piccata reazione dei paesi in via di sviluppo (il cosiddetto G77, che raggruppa i paesi emergenti all’interno delle Nazioni unite, ndr.). Intitolato «Copenaghen draft», il documento, che è stato inviato per fax il 30 novembre da Pechino, delinea con chiarezza le posizioni del G77 ma apre la porta a compromessi. Nel preambolo insiste sulla validità del protocollo di Kyoto e indica in «2 gradi centigradi» l’innalzamento della temperatura della Terra da non superare..

Il documento dovrebbe imporsi, sempre secondo il quotidiano francese, come il filo conduttore dei prossimi dieci giorni di discussioni nella capitale danese. La lotta alla povertà e lo sviluppo economico restano le priorità. Nel testo si fa riferimento alla creazione di un fondo globale per aiutare i paesi più poveri sotto il regime delle Nazioni Uniti. Per la precisione, il fondo mondiale per l'ambiente- una struttura esistente, autonoma e attiva da oltre dieci anni- sarà "l'entità operativa del Fondo globale"
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Messaggio Da Maurizio Ven Dic 11, 2009 6:03 pm

Accordo nell'UE: 7mld ai Paesi in via di sviluppo
http://www.lastampa.it/focus/clima/
I capi di Stato e di governo dell’Ue si sono accordati per dare 7,2 miliardi di euro ai Paesi poveri per il triennio 2010-2012 (2,4 mld all’anno): il cosiddetto fondo "fast start" aiuterà i Paesi in via di sviluppo a dotarsi di tecnologie pulite per frenare il surriscaldamento del pianeta ma dovrebbe facilitare anche il raggiungimento dell’accordo al summit internazionale di Copenaghen.

L’Italia darà 200 milioni di euro, un contributo definito «generoso» dal premier Silvio Berlusconi; ma hanno dato contributi anche quei Paesi -come la Lettonia, la Bulgaria, l’Ungheria e la Grecia- che si trovano in una situazione economica molto delicata. I capi di Stato e di governo dell’Ue hanno così superato le aspettative della stessa Commissione Europea. «È di più di quel che ci attendevamo», ha detto il presidente della Commissione, Manuel Barroso. E Ivo de Boer, il capo negoziatore delle Nazioni Unite sul clima, ha definito lo stanziamento «un grande incoraggiamento» ai colloqui in corso a Copenaghen. Le organizzazioni internazionali non governative mettono però in guardia: i fondi, dicono da più parti, devono essere aggiuntivi all’impegno di portare l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) allo 0,7% del Pil entro il 2015.

Intanto al vertice nella capitale danese, è sceso in campo l’Onu con una prima boozza ufficiale: un’ipotesi di compromesso, redatta dalla presidenza Onu, che indica l’obiettivo di contenere entro una forchetta tra 1,5 e 2 gradi centigradi l’aumento massimo della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali. Secondo la bozza, le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra dovrannoo ridursi tra il 75 e il 95 per cento entro il 2050, rispetto ai livello del 1990. La bozza costituisce il punto di partenza per i prossimi negoziati a cui parteciperanno tutti i «grandi» del pianeta, accompagnati dai rispettivi ministri dell’Ambiente. Per quanto riguarda l’aumento della media globale della temperatura, il margine inferiore è ovviamente sponsorizzato dalle piccole isole, che rischiano di essere sommerse dall’innalzamento dei mari causato dallo scioglimento dei ghiacci, e da molti Paesi africani, a rischio di carestie e siccità. I Paesi industrializzati e i "giganti" emergenti come Cina, India e Brasile, spingono invece per il limite più alto.

La bozza contiene ancora diverse parentesi sui dati per i quali manca ancora l’accordo. Per quello che riguarda la riduzione globale delle emissioni di diossido di carbonio entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990) si indicano tre possibili obiettivi: del 50, dell’80 e dell’95 per cento. I Paesi industrializzati spingono per fermarsi al 50 per cento, ma alcune economie emergenti guidate dalla Cina non hanno voluto fissare alcun obiettivo a meno di non chiarire che i Paesi ricchi si assumeranno la quasi totalità dell’onere. Per i Paesi ricchi, su cui ricadono le maggiori responsabiltà nel surriscaldamento del pianeta, le opzioni possibili di tagli al C02 entro il 2050 variano dal 75-85 per cento, «almeno 80-95 per cento» e «più del 95 per cento», tutti opzioni comparate ai dati del 1990.
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Messaggio Da Maurizio Sab Dic 12, 2009 1:38 pm

L'arrivo dei no-global a Copenhagen
LaStampa.it
Copenaghen super-blindata oggi in attesa delle manifestazioni della galassia ecologista e no-global che prepara il contro-vertice: le proteste contro il summit dell’Onu sul cambiamento climatico. Venerdì decine di migliaia di persone sono già scese in piazza in molti Paesi asiatici (ad Hong Kong, in Indonesia di fronte all’ambasciata Usa, nelle Filippine, in Australia), per chiedere ai leader riuniti a Copenaghen di siglare un accordo che freni davvero il surriscaldamento del pianeta. E oggi organizzazioni non governative, movimenti pacifisti, gruppi ambientalisti scenderanno nelle strade della capitale danese, blindata da una straordinaria presenza di polizia. Gli organizzatori prevedono la partecipazione tra le 60.000 e le 80.000 persone.

La marcia partirà dal Parlamento, davanti al Christiansborg Castle, alle 14:00, attraverserà la città e arriverà alcune ore dopo al Bella Center, teatro del summit, davanti a cui si terranno discorsi e eventi musicali: circa sei chilometri di percorso, organizzato da 515 organizzazioni di 67 Paesi diversi. E alla fine del corteo, ci sarà una veglia illuminata da candele presieduta dal Premio Nobel, Desmond Tutu. Uno dei principali gruppi organizzatori, Oxfam, ha preannunciato la presenza di vip, tra cui la modella danese-peruviana, Helena Christensen. Ma il timore è che ci siano scontri e tafferugli, con l’infiltrazione dei «Black Bloc»; abitanti e negozianti sono stati avvertiti del rischio di eventuali violenze. Già ieri c’è stato un primo assaggio, con l’arresto di una settantina di persone, tra cui 7 italiani. I manifestanti arrivavano ancora venerdì notte, su autobus, treni, aerei e traghetti, provenienti da Berlino, Brema, Londra, Leeds, Amsterdam, Milano e decine di altre città europee. Il vertice si fermerà domani, domenica, mentre cominciano ad arrivare le delegazioni guidate dai ministri degli ambienti (per l’Italia, sarà presente Stefania Prestigiacomo); ma non si fermeranno le proteste: prevista un’azione per bloccare il porto di Copenaghen.

«Copenaghen: abbiamo bisogno di una svolta, non di un fallimento». Un’altra lettera aperta ai «world leaders» campeggia stamane su un’intera pagina del Financial Times, stavolta a firma di numerose associazioni ed organizzazioni internazionali. «I dati scientifici e statistici sono inequivocabili: stiamo correndo verso uno scenario disastroso. È divenuto imperativo per la nostra sopravvivenza un’azione urgente», si legge nel testo, che punta il dito sui grandi riuniti a Copenaghen: «La scelta è nelle vostre mani, gli occhi del mondo sono puntati su di voi» . E ricorda come le organizzazioni firmatarie rappresentino milioni di persone. Per questo si chiede ai leader mondiali di andare a Copenaghen di persona il 18 dicembre; di siglare un accordo onesto, ambizioso e legalmente vincolante; di garantire che le emissioni nocive raggiungano il vertice massimo entro otto anni per poi diminuire per evitare cambiamenti climatici irreversibili; di aiutare finanziariamente i paesi in via di sviluppo e proteggere le loro popolazioni.
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Messaggio Da Maurizio Ven Dic 18, 2009 1:50 pm

Fonte La Stampa
«Il mondo ci guarda ed è fondamentale fare passi in avanti e indicare soluzioni»: questo l’appello di Barack Obama ai "grandi del mondo" riuniti a Copenaghen per trovare un accordo per frenare il surriscaldamento climatico. Obama ha detto che è arrivato il momento di agire. «Il tempo delle parole è scaduto. Non c’è tempo da perdere». In materia di misure per ridurre gli effetti dell’inquinamento, dopo anni di disimpegno, «gli Stati Uniti hanno fatto la loro scelta», ha detto inoltre.

«La nostra capacità di adottare azioni collettive è in forse mentre il mondo ci guarda», ha aggiunto Obama, parlando di fronte a 120 capi di stato e di governo. «La sfida che ci troviamo di fronte non è più la natura di questa sfida, ma la nostra capacità di affrontarla», ha affermato, ribadendo gli impegni che gli Stati Uniti sono disposti a prendere, «nel quadro di un accordo generale» annunciati ieri dal segretario di stato, Hillary Clinton. Gli Stati Uniti, ha aggiunto, ridurranno le emissioni dei gas a effetto serra «indipendentemente da ciò che accade a Copenaghen».

«L’America è pronta a prendersi le sue responsabilità in quanto leader». «Non sareste qui se non foste convinti che il pericolo è reale. Il cambiamento climatico non è fantascienza, ma è scienza, è reale».
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