Prezzi, "sprint" dei prodotti per la colazione
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Prezzi, "sprint" dei prodotti per la colazione
Fonte: La Stampa
Rientrano nel novero delle «soft commodities», ma sono conosciute come «breakfast commodities»: caffè, cacao, tè, succo d’arancia, zucchero. Quelle materie prime, insomma, che sono alla base delle colazioni di milioni di persone in tutto il mondo.
E che si differenziano, per accezione, da quelle della stessa famiglia (mentre le «hard commodities» sono costituite dai metalli, petrolio, carbone) che vanno a comporre il pranzo e la cena, vale a dire i prodotti agricoli più tradizionali. La dieta alimentare, però, c’entra poco. A tirare le fila del discorso, in questo caso, è ancora una volta la finanza. Perché le «breakfast commodities» chiudono un anno con quotazioni che hanno raggiunto i massimi (salvo il latte, l’unico a restare indietro), in controtendenza rispetto ai prezzi del grano, frumento, riso e della soja. Sprint così eccezionali da attirare sempre di più l’attenzione dei fondi e degli investitori speculativi, alla costante ricerca di nuove frontiere di guadagno, che solitamente relegano questo settore in un angolo del mercato delle materie prime.
Il cacao, ad esempio, la scorsa settimana a New York ha toccato la quotazione più alta degli ultimi 31 anni, oltre i 3.500 dollari per tonnellata, facendo un balzo dell’28,5% rispetto al gennaio scorso. Il caffè, qualità Arabica, è salito del 30,2% quest’anno, registrando una delle migliori performance degli ultimi 11 anni. Così anche lo zucchero, che ha fatto registrare un’impennata del 165,1% su gennaio, ai massimi da 28 anni. E il tè, a +83,5%. E pure il succo d’arancia, che ha scalato il grafico delle quotazioni mettendo a segno un incremento dell’88,8%. Che cosa c’è dietro questa escalation dei prezzi? Banalmente, il mercato. Da un lato, la produzione che segna il passo, dall’altro la domanda che sale, trainata anche dalla «fame» - in questo caso, accentuata dal crescente benessere - dei Paesi emergenti, a cominciare dalla Cina, ma anche da una richiesta che, secondo alcuni analisti, è stata colpita meno dalla crisi.
Scorte ridotte, richiesta, quotazioni in rialzo. Se poi qualcuno ci specula pure... Alla radice di questo boom delle quotazioni, dicono gli esperti, c’è anzitutto la geografia. Nel senso che tutte queste materie prime sono prodotte in Paesi in via di sviluppo. Aree dove la produzione è meno «resistente» ai fattori esterni: clima, conflitti, accesso al credito, risposta dei coltivatori all’aumento dei prezzi. La produzione di cacao, ad esempio, è in calo per il quarto anno consecutivo. Una frenata storica: di così lunghe non se ne ricordano dal crollo del 1965-69. È dovuta, in gran parte, ai problemi d’invecchiamento delle piante della Costa d’Avorio, Paese che produce il 40% del cacao del mondo.
La quotazione del tè, invece, ha risentito del crollo del 10-20% delle produzioni dei principali paesi esportatori (Kenia, Sri Lanka, India), falciati dalla siccità. El Niño è la causa prima del cattivo raccolto di canna da zucchero in Brasile e India. Proprio a quest’ultimo Stato è attribuita la responsabilità del balzo delle quotazioni. Oltre ad essere il secondo produttore di zucchero globale, ne è anche uno dei primi consumatori: a corto di scorte, è andato a cercarle sul mercato proprio quando il Brasile ha chiuso i «rubinetti» della sua produzione, decimata dalla piogge. Una malattia degli aranci e il clima freddo, invece , ha influito sui raccolti di arance in Brasile e Florida. Mentre il caffè più pregiato, la qualità Arabica, ha risentito della perdita di produzione in Colombia. Tutto ciò c’interessa relativamente? Sbagliato. «Il balzo delle quotazioni del caffè Arabica ha costretto, anche noi, ad aumentare di qualche punto a trimestre il prezzo finale al consumatore» riconosce Carlo Vergnano, presidente dell’omonima azienda torinese. «Ma se caleranno, li ridurremo».
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