Occhio bionico, un cieco riacquista la vista
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Occhio bionico, un cieco riacquista la vista
Fonte: La Stampa
Quando Wim Wenders girava «Fino alla fine del mondo» la videocamera progettata dal padre del protagonista per mostrare alle moglie cieca luoghi e persone della sua vita sembrava la frontiera fantascientifica dell’Apocalisse da cui puntare l’obiettivo verso il futuro. Era il 1991, l’era giurassica della tecnologia. Giovedì sera un cinquantunenne di Stretford, periferia sud di Manchester, s’è infilato un paio di occhiali simili a quelli del film e per la prima volta da quando era studente ha visto la porta di casa di cui conosce al tatto ogni venatura.
«Le immagini si muovono e dovrò abituarmi, ma posso distinguere le automobili, sembrano matasse di cotone» dice Peter Lane alla conferenza stampa improvvisata al Manchester Royal Eye Hospital, dove è stato operato tre mesi fa dopo un anno di attesa. È uno dei primi fortunati a riemergere dalla cecità grazie a un apparecchio elettronico realizzato dalla compagnia americana Second Sight che bypassando la retina invia i messaggi direttamente al cervello.
Dietro gli occhiali neri di Peter si cela una piccola potentissima telecamera capace di mandare centinaia e centinaia di segnali wireless ai nervi responsabili della vista e della decodificazione dell’immagine. Il risultato non è miracoloso come nel Vangelo. Ma Peter Lane, che ha cominciato a brancolare nel buio a vent’anni a causa d’una forma grave di retinite pigmentosa, una malattia genetica degenerativa di cui soffrono 25 mila inglesi, non se l’aspettava neppure: «Riconoscere le lettere mi sembra incredibile. Per ora riesco a sillabare solo parole brevi come dad (papà), cat (gatto), mad (pazzo), ma i dottori mi mettono alla prova con caratteri sempre più piccoli». Quando lascerà definitivamente l’ospedale si porterà a casa uno schermo speciale per fare gli esercizi: «Mi piacerebbe un giorno o l’altro arrivare a leggere da solo quel che la gente mi scrive». Per uno che ha contato sempre su quattro sensi, assaporare il quinto è vertiginoso.
Il corpo umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica può permettersi d’invecchiare senza paura. Secondo gli scienziati riuniti in questi giorni al ministero della salute britannico per il convegno nazionale sulla medicina rigenerativa siamo prossimi al rimpiazzo di qualsiasi pezzo difettoso. «I chirurghi avranno presto gli strumenti per “ricostruire” i pazienti con operazioni meno complesse che non richiedano la sostituzione dell’intero organo» osserva Robert Brown, direttore del Centre for Tissue Regeneration Science dell’University College di Londra, dove, per esempio, non s’interviene più sul ginocchio nel suo insieme ma si rimuovono solo le parti danneggiate, dalla cartilagine ai nervi.
Peter Lane misura le distanze che nell’oscurità sembravano infinite. «Ero molto scettico, quello che hanno fatto questi dottori è grandioso» ammette al «Daily Express» il fratello John che lo accompagna nella riscoperta del mondo. Anche una cittadina grigia come Stretford, nota unicamente per aver dato i natali al Manchester United Football Club, può apparire sorprendente a chi la vede per la prima volta: «In casa posso muovermi a tentoni perché conosco l’ambiente. Fuori però gli occhiali mi danno confidenza, mi sento indipendente».
I medici registrano ogni giorno i progressi di Peter che partecipa a un programma sperimentale insieme ad altri 32 non vedenti di tutto il mondo. «I pazienti migliorano più rapidamente di quanto credessimo» afferma l’oftalmologo del Manchester Royal Eye Hospital Paolo Stanga. Uno di loro è riuscito ad ammirare i fuochi d’artificio il 5 novembre. Peter, dopo 4 ore d’intervento e due mesi di degenza, mangia con lo sguardo nel piatto, distingue la sagoma dei mobili, legge l’alfabeto come un bimbo alle prime armi.
Può darsi che l’ottimismo sia prematuro, come lasciano intendere al Moorfields Eye Hospital di Londra dove ad aprile un pensionato di 73 anni s’è sottoposto al medesimo intervento. «È troppo presto per fare conferenze stampa, noi parleremo il prossimo anno» taglia corto la portavoce del Moorfields tradendo il disappunto per non essere stati neppure citati dai colleghi di Manchester con cui lavorano gomito a gomito. Peter intanto si guarda intorno avidamente per ricordare tutto casomai tornasse la notte.
Quando Wim Wenders girava «Fino alla fine del mondo» la videocamera progettata dal padre del protagonista per mostrare alle moglie cieca luoghi e persone della sua vita sembrava la frontiera fantascientifica dell’Apocalisse da cui puntare l’obiettivo verso il futuro. Era il 1991, l’era giurassica della tecnologia. Giovedì sera un cinquantunenne di Stretford, periferia sud di Manchester, s’è infilato un paio di occhiali simili a quelli del film e per la prima volta da quando era studente ha visto la porta di casa di cui conosce al tatto ogni venatura.
«Le immagini si muovono e dovrò abituarmi, ma posso distinguere le automobili, sembrano matasse di cotone» dice Peter Lane alla conferenza stampa improvvisata al Manchester Royal Eye Hospital, dove è stato operato tre mesi fa dopo un anno di attesa. È uno dei primi fortunati a riemergere dalla cecità grazie a un apparecchio elettronico realizzato dalla compagnia americana Second Sight che bypassando la retina invia i messaggi direttamente al cervello.
Dietro gli occhiali neri di Peter si cela una piccola potentissima telecamera capace di mandare centinaia e centinaia di segnali wireless ai nervi responsabili della vista e della decodificazione dell’immagine. Il risultato non è miracoloso come nel Vangelo. Ma Peter Lane, che ha cominciato a brancolare nel buio a vent’anni a causa d’una forma grave di retinite pigmentosa, una malattia genetica degenerativa di cui soffrono 25 mila inglesi, non se l’aspettava neppure: «Riconoscere le lettere mi sembra incredibile. Per ora riesco a sillabare solo parole brevi come dad (papà), cat (gatto), mad (pazzo), ma i dottori mi mettono alla prova con caratteri sempre più piccoli». Quando lascerà definitivamente l’ospedale si porterà a casa uno schermo speciale per fare gli esercizi: «Mi piacerebbe un giorno o l’altro arrivare a leggere da solo quel che la gente mi scrive». Per uno che ha contato sempre su quattro sensi, assaporare il quinto è vertiginoso.
Il corpo umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica può permettersi d’invecchiare senza paura. Secondo gli scienziati riuniti in questi giorni al ministero della salute britannico per il convegno nazionale sulla medicina rigenerativa siamo prossimi al rimpiazzo di qualsiasi pezzo difettoso. «I chirurghi avranno presto gli strumenti per “ricostruire” i pazienti con operazioni meno complesse che non richiedano la sostituzione dell’intero organo» osserva Robert Brown, direttore del Centre for Tissue Regeneration Science dell’University College di Londra, dove, per esempio, non s’interviene più sul ginocchio nel suo insieme ma si rimuovono solo le parti danneggiate, dalla cartilagine ai nervi.
Peter Lane misura le distanze che nell’oscurità sembravano infinite. «Ero molto scettico, quello che hanno fatto questi dottori è grandioso» ammette al «Daily Express» il fratello John che lo accompagna nella riscoperta del mondo. Anche una cittadina grigia come Stretford, nota unicamente per aver dato i natali al Manchester United Football Club, può apparire sorprendente a chi la vede per la prima volta: «In casa posso muovermi a tentoni perché conosco l’ambiente. Fuori però gli occhiali mi danno confidenza, mi sento indipendente».
I medici registrano ogni giorno i progressi di Peter che partecipa a un programma sperimentale insieme ad altri 32 non vedenti di tutto il mondo. «I pazienti migliorano più rapidamente di quanto credessimo» afferma l’oftalmologo del Manchester Royal Eye Hospital Paolo Stanga. Uno di loro è riuscito ad ammirare i fuochi d’artificio il 5 novembre. Peter, dopo 4 ore d’intervento e due mesi di degenza, mangia con lo sguardo nel piatto, distingue la sagoma dei mobili, legge l’alfabeto come un bimbo alle prime armi.
Può darsi che l’ottimismo sia prematuro, come lasciano intendere al Moorfields Eye Hospital di Londra dove ad aprile un pensionato di 73 anni s’è sottoposto al medesimo intervento. «È troppo presto per fare conferenze stampa, noi parleremo il prossimo anno» taglia corto la portavoce del Moorfields tradendo il disappunto per non essere stati neppure citati dai colleghi di Manchester con cui lavorano gomito a gomito. Peter intanto si guarda intorno avidamente per ricordare tutto casomai tornasse la notte.
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