La TV crea il "dizionario" degli under 18
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La TV crea il "dizionario" degli under 18
Fonte: La Stampa
«Scialla», non per coprirsi ma per invitare a darsi una calmata; «Bella», non è un complimento rivolto a una ragazza ma il saluto più utilizzato dagli adolescenti italiani. «Emo», non è un extraterrestre ma il diminutivo di emotivo, aggettivo che indica chi tende al sentimentalismo mostrando il lato debole e vulnerabile del suo carattere. «Truzzo», non è un animale in via d’estinzione ma un «discotecaro» con capelli a spazzola e zeppe. Letteralmente «colui che va in discoteca», forse deriva dal suono onomatopeico «tuz tuz» identificativo della musica house. È il vocabolario dei giovani, irriverente, anticonformista, fantasioso, creativo. Uno slang fatto di sigle e metafore inventate, rielaborate, accorciate e qualche volta raddoppiate.
Un linguaggio che si evolve e cambia ogni dieci anni ed è quindi impossibile cercare di intrappolarlo e codificarlo nei classici dizionari, l’unica è stargli dietro in tempo reale. Se fino a qualche tempo fa infatti si usava l’italiano per le situazioni formali e il dialetto per quelle colloquiali e familiari oggi il linguaggio giovanile è diventato una realtà linguistica che sostituisce il gergo popolare a livello del parlare affettivo, emotivo e informale. Alla radice del linguaggio giovanile spesso c’è, opportunamente rielaborato, il dialetto.
Da una periferia all’altra cambia la compagnia di riferimento e ogni gruppo evidenzia qualche vocabolo autoctono. A Roma si va «a mazzetta» o «a rota» quando si fa qualcosa ripetutamente, quasi fosse un’ossessione. A Milano si va a «pasturare» non per pescare ma per andare a conoscere persone dell’altro sesso con lo scopo di avere rapporti. E se poi si rimorchia una «vreccia» vuol dire che la ricerca ha prodotto i suoi frutti.
A Napoli infatti è l’aggettivo che viene usato dai giovani per indicare una donna particolarmente dotata fisicamente. E se c’è qualche concorrente si può tranquillamente «pezzare», ossia fare a pezzi. «Il fenomeno del linguaggio giovanile - spiega il professore Michele Cortelazzo, docente di linguistica italiana all’università di Padova - è del tutto analogo a quello del vestirsi in una data maniera, a seconda del gruppo di appartenenza. L’intento -aggiunge l’esperto- è quello, da una parte, di distinguersi dagli adulti, e dall’altra, di condividere gli stessi valori e gli stessi obiettivi. Cioè il parlare allo stesso modo fa si che "io" sia uguale a quelli del mio gruppo ma contemporaneamente diverso da tutti gli altri che ne sono fuori».
Oltre al linguaggio cambiano anche i riferimenti nella comicità. Archiviata l'era di Drive in e Verdone, oggi il re assoluto si chiama Johnny Groove. Nato nel 2007 dall’attenta osservazione di Giovanni Vernia della vita notturna milanese e del panorama della musica house in generale, il personaggio più amato di «Zelig», cabaret comico di Canale5, ha conquistato i ragazzi del nuovo millennio ballando al ritmo di «Essiamonoi». Pantaloni pezzati, maglietta nera smanicata e occhiali da sole fascianti con il tormentone di «Ti stimo fratello» si piazza nelle prime posizioni della classifica degli slang più utilizzati dai giovani.
«I miei slang - riflette Giovanni Vernia - sono nati per caso, naturalmente, per il semplice fatto di essermi calato nel personaggio fino in fondo. Ad esempio, "Ti stimo fratello" deriva da un episodio casuale. Una mia spalla, durante alcune prove, mi ha suggerito una battuta divertente e io per ringraziarlo gli ho risposto con questa frase totalmente spontanea. Ci siamo messi tutti a ridere e da li è nato tutto. Fratello è poi il classico modo in cui si salutano e si chiamano fra di loro tutti i ragazzi del mondo, dai milanesi agli americani. La "r moscia" invece è dovuta al fatto che parlare così ti dà un’aria più da scemo».
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