La musica fa bene, lo sanno anche i neonati
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La musica fa bene, lo sanno anche i neonati
La Stampa
Quando si dice avere la musica nel sangue. Uno studio dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, pubblicato dalla rivista Pnas, ha evidenziato che le doti musicali iniziano a manifestarsi fin dai primi momenti di vita, infatti i neonati di solo un giorno già sono in grado di riconoscere e apprezzare le note e di distinguere quelle sbagliate.
Un gruppo di 18 neonati è stato sottoposto, entro i primi tre giorni di vita, all'ascolto di tre diversi brani di 21 secondi. Il primo era un estratto di una musica per pianoforte, il secondo era lo stesso brano con alcune note improvvisamente alzate di un tono e il terzo aveva tutta la melodia alzata di un tono rispetto all’originale.
Durante l’ascolto, il cervello dei bebè è stato sottoposto a risonanza magnetica funzionale, una tecnica che permette di vedere quali aree "si accendono" mentre si elaborano le informazioni. Il risultato dello studio è stato che in tutti i bambini si è attivato l’emisfero destro del cervello, ed in particolare le stesse aree coinvolte nell’ascolto della musica negli adulti. Durante l’esecuzione dei brani sbagliati, invece, l’attivazione è stata minore, mentre si è accesa un’area dell’emisfero sinistro.
La ricerca potrebbe mettere fine ai dubbi se la capacità di elaborare la musica sia innata o derivi dall’ambiente. In ogni caso, sugli effetti benefici delle note sul cervello non ci sono dubbi. L’ultimo studio in ordine di tempo è stato appena presentato al meeting dell’American Association for Advancement of Science da Gottfried Schlaug del’università di Harvard: il ricercatore ha dimostrato che la musica può servire come terapia per chi ha l’emisfero sinistro del cervello, sede della parola, danneggiato ad esempio per un ictus.
Ma non sono solo i malati a beneficiare delle proprietà delle note: secondo un’altra ricerca presentata allo stesso meeting da Nina Kraus della Northwestern University suonare uno strumento modifica il cervello permettendogli di percepire meglio le sfumature del linguaggio e di isolare i suoni ’utilì, ad esempio in una classe rumorosa. Per questo motivo la ricercatrice ha rivolto un appello a mantenere le ore di musica, che negli Usa sono spesso tagliate a causa dei problemi di bilancio. Ma sugli effetti positivi della musica la letteratura scientifica è ormai numerosissima: fra gli studi più recenti, raccolti in un volume dalla New York Academy of Science, ce ne sono alcuni che sostengono che il cervello di chi suona abbia più materia grigia, e che non solo la mente, ma anche il sistema immunitario abbiano dei vantaggi dalle sette note.
Quando si dice avere la musica nel sangue. Uno studio dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, pubblicato dalla rivista Pnas, ha evidenziato che le doti musicali iniziano a manifestarsi fin dai primi momenti di vita, infatti i neonati di solo un giorno già sono in grado di riconoscere e apprezzare le note e di distinguere quelle sbagliate.
Un gruppo di 18 neonati è stato sottoposto, entro i primi tre giorni di vita, all'ascolto di tre diversi brani di 21 secondi. Il primo era un estratto di una musica per pianoforte, il secondo era lo stesso brano con alcune note improvvisamente alzate di un tono e il terzo aveva tutta la melodia alzata di un tono rispetto all’originale.
Durante l’ascolto, il cervello dei bebè è stato sottoposto a risonanza magnetica funzionale, una tecnica che permette di vedere quali aree "si accendono" mentre si elaborano le informazioni. Il risultato dello studio è stato che in tutti i bambini si è attivato l’emisfero destro del cervello, ed in particolare le stesse aree coinvolte nell’ascolto della musica negli adulti. Durante l’esecuzione dei brani sbagliati, invece, l’attivazione è stata minore, mentre si è accesa un’area dell’emisfero sinistro.
La ricerca potrebbe mettere fine ai dubbi se la capacità di elaborare la musica sia innata o derivi dall’ambiente. In ogni caso, sugli effetti benefici delle note sul cervello non ci sono dubbi. L’ultimo studio in ordine di tempo è stato appena presentato al meeting dell’American Association for Advancement of Science da Gottfried Schlaug del’università di Harvard: il ricercatore ha dimostrato che la musica può servire come terapia per chi ha l’emisfero sinistro del cervello, sede della parola, danneggiato ad esempio per un ictus.
Ma non sono solo i malati a beneficiare delle proprietà delle note: secondo un’altra ricerca presentata allo stesso meeting da Nina Kraus della Northwestern University suonare uno strumento modifica il cervello permettendogli di percepire meglio le sfumature del linguaggio e di isolare i suoni ’utilì, ad esempio in una classe rumorosa. Per questo motivo la ricercatrice ha rivolto un appello a mantenere le ore di musica, che negli Usa sono spesso tagliate a causa dei problemi di bilancio. Ma sugli effetti positivi della musica la letteratura scientifica è ormai numerosissima: fra gli studi più recenti, raccolti in un volume dalla New York Academy of Science, ce ne sono alcuni che sostengono che il cervello di chi suona abbia più materia grigia, e che non solo la mente, ma anche il sistema immunitario abbiano dei vantaggi dalle sette note.
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