Attentato nella notte a Milano, due fermi
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Attentato nella notte a Milano, due fermi
Fonte: La Stampa
Un cittadino libico e uno egiziano sono stati fermati questa notte dalla Polizia perché ritenuti in qualche modo coinvolti nell’attentato compiuto ieri alla caserma "Santa Barbara" di Milano da Mohamed Game, il 34enne libico di cui i fermati sono conoscenti e con cui erano in contatto. Nel corso delle perquisizioni è stato ritrovato e sequestrato un ingente quantitativo di potenziale esplosivo, un centinaio di chili, accatastato in un appartamento poco distante da quello dell’aspirante kamikaze, nella zona di via Tommaso Gulli, che è anche vicina a piazzale Perrucchetti, sede della caserma, obiettivo dell’attentato.
Il materiale sequestrato è nitrato d’ammonio che se miscelato può servire a confezionare un ordigno rudimentale, come quello utilizzato ieri contro la caserma Santa Barbara di Milano. Il nitrato, venduto come fertilizzante in pacchi da 50 chilogrammi, è stato rinvenuto nell’abitazione dell’egiziano. La distribuzione all’ingrosso di questo materiale è controllata. Anche l’ordigno utilizzatio ieri da Game era a base di nitrati ed è esploso in minima parte. Non è stato ancora possibile capire in che tipo di involucro fosse contenuto. Si parla di una borsa o di una scatola metallica per attrezzi. I fermi sono scattati dopo una serie di interrogatori di parenti e amici del trentaquattrenne libico accusato di detenzione, porto e fabbricazione di esplosivi ed è indagato per strage, reato di pericolo.
Secondo il procuratore aggiunto Armando Spataro il nome del libico non era mai emerso fin qui in indagini sul terrorismo islamico. Game ha riportato ferite gravi e si trova attualmente ricoverato in ospedale. Il cittadino libico convive con una cittadina italiana, ha due figli, ed è in Italia dal 2003 con regolare permesso di soggiorno anche se non risulta avesse un’occupazione fissa.
Re: Attentato nella notte a Milano, due fermi
Fonte: La Stampa
Un kamikaze tutto casa e famiglia, Mohammed Game. Zero casa, doppia famiglia e chissà cosa aveva per la testa quando si è lanciato in quell’attentato fai-da-te, dopo essere stato folgorato tre mesi fa sulla via dell’Islam. «Prima, della religione non gli interessava. Pensava solo alla sua azienda, andata in malora. Tre mesi fa aveva iniziato ad andare alla moschea di via Jenner. Ce l’aveva con i militari italiani in Afghanistan. Diceva che se i soldati stavano a casa loro non succedeva niente», ricorda bene Mohammed Hisrafil, il suo migliore amico, altra testa, stessa casa, mica una villa ma questo casermone di via Cividali 30 che gli italiani residenti, i pochi italiani in questo quartiere di periferia chiamano «casbah».
«Aiutateci ad avere una casa più dignitosa. Viviamo in sei senza nemmeno il bagno», si era lamentato un paio di mesi fa con una giornalista di «Cronaca Qui» questo ingegnere elettronico mancato di 37 anni, mancato pure come attentatore. L’appartamento al primo piano lo aveva occupato sette anni fa con Giovanna M., la sua compagna italiana, mai musulmana, badante e colf di professione, innamorata della persona sbagliata dopo aver lasciato un altro uomo da cui aveva avuto due bambini, Davide di dieci anni, Alessandro di nove. Sei anni fa era nato Islam. Tre anni fa Omar. Tutti insieme in quel bilocale pianoterra scala D dove gli agenti della Digos hanno frugato per trovare niente. Non uno straccio di volantino, un proclama, un qualcosa che da qui arrivasse fino ad Al Qaeda e non ai deliri di un uomo frustrato che ce l’aveva con tutto e tutti.
«Non voleva che i suoi figli giocassero con noi», ricorda un ragazzino della casbah. «I bambini stavano sempre in cortile vicino alla spazzatura. Lui era uno losco. Vestiva come noi. Solo durante il Ramadan indossava l’abito tradizionale dei musulmani», racconta Antonella, una vicina, scala A, l’intonaco pitturato di fresco a nascondere le crepe di un quartiere dove in cento metri ci sono una macelleria islamica, il supermarket islamico, il phone center mediorientale e un paio di kebab poco frequentati. Dicono che questa estate Mohammed passasse le serate in cortile, le sedie in circolo con gli amici a parlare di chissà cosa. Improbabile, di politica. Men che meno di religione. Più facile del lavoro che andava male, della crisi, della sua azienda oberata dai debiti e dai creditori. Un paio di anni fa aveva messo pure un annuncio in rete e non era servito a niente: «Cerco lavori edili o da elettricista. Disponibile in qualsiasi orario. Prendo lavori a cottimo, in economia o a metro». Anche Giovanna, la sua compagna, si era messa in rete: «Mi offro come colf e badante. Sono seria e onesta. Ho un carattere tranquillo e paziente. Fumo ma non quando lavoro».
«Quando va bene portiamo a casa meno di 1000 euro. Ma il problema vero è il bagno. I bambini li laviamo in una bacinella», si lamentava Mohammed, in testa il chiodo fisso di una casa, mica la jihad e quelle robe lì che aveva iniziato a masticare da poco. In viale Jenner nemmeno si ricordano di lui: «Solo una mente disturbata può avere immaginato una cosa del genere. Se veniva qui non si faceva notare». Sorpresi gli islamici. Sorpresa Giovanna, smarrita di fronte a questa storia più grande di lei: «Sono stupita da quello che ha fatto». La meno stupita di tutti è la zia di Giovanna, che di quella nipote e del suo fidanzato «marocchino» vuole sapere niente: «Giovanna si era sposata una volta. Poi lui è morto. Allora si è messa con un italiano con cui ha fatto due figli. Quando ha iniziato a farsela con il “marocchino”, lui l’ha mollata ed è andato all’estero. Quel Mohammed lì non lo conosco. Una sera mi ha telefonato ubriaco, diceva che Giovanna voleva lasciarlo. Ho messo giù».
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