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Messaggio Da Maurizio Mer Nov 18, 2009 2:16 pm

Fonte: La Stampa
La felicità, che scemenza. Ora che l’epoca dei reality ha spazzato via qualuque rimasuglio di romanticismo gli scienziati si buttano sul tema più scivoloso, proprio quello che avevano sempre snobbato come una stranezza da artisti o al massimo un «divertissement» da psicologi.

Se non fossero nomi del peso di Daniel Gilbert, Martin Seligman, Daniel Goleman, Antonio Damasio, Daniel Kahneman (e altri), si potrebbe fare finta di niente, ma non è così. Le neuroscienze hanno invaso l’habitat di moralisti e uomini di fede e pretendono di indagare i recessi di mente e cuore e ciò che ci rende umani. E quindi la felicità è uno degli enigmi perfetti, anche perché, contrariamente all’enfasi antropocentrica, è un’emozione basica che condividiamo con l’universo dei viventi. Per esempio con le muffe mucillaginose (le amebe). E’ una scoperta - si creda o no - che ha reso John Bonner famoso tra gli accademici: quando l’ambiente diventa ostile, queste creature solitarie emettono una molecola e a decine di migliaia si uniscono, «inventando» un organismo pluricellulare. L’acrasina - è il nome della sostanza, ispirata ad Acrasia, la strega di Edmund Spenser che attirava a sé gli uomini, trasformandoli in bestie - viene considerata un primo ma essenziale indizio sulla ricerca del benessere da parte di noi umani, vale a dire sulle strategie con cui adattiamo il nostro status sociale - solitario o gregario - alle variabili situazioni del momento.

Se storcete il naso, sondate «Alla ricerca della felicità», l’ultimo saggio di Eduardo Punset, considerato il maggiore divulgatore di scienza in lingua spagnola: la felicità - spiega attraverso la voce di ricercatori e un po’ di Nobel - è una delle tante emozioni che l’evoluzione ha ideato per produrre organismi efficienti. E’ noto, per esempio, che la risonanza magnetica funzionale ha svelato come le decisioni migliori si prendano grazie a una «marmellata» di razionalità e sentimento. Se fossimo freddi come lo Spock di «Star Trek», ci saremmo già estinti da tempo. «Senza emozione - ha riassunto Damasio - nessun progetto ha valore».

Se abbiamo bisogno di una mano dai neuroni «nobili» della corteccia, è nel cervello più antico - il «rettiliano» - in cui si annidano le istruzioni universali della felicità e della paura ed è da quelle aree remote che l’una e l’altra decollano per colpire come missili i pensieri coscienti. Ecco perché, una volta attivate nel loro pieno potenziale, è difficile disinnescarle. E noi - aggiunge Punset - siamo l’unica specie ad aver portato così all’estremo il processo da immagazzinare il terrore (e tutti i suoi strascichi) «in modo quasi indelebile». Non è un caso che, secondo il National Institute of Mental Health, la depressione acuta sia la seconda causa di morte negli Usa dopo i problemi cardiovascolari.

Il cervello è una macchina sofisticata, sì, ma tutt’altro che perfetta: crea modelli astratti con cui gestire l’alluvione degli input del mondo esterno - ha ipotizzato Semir Zeki - ma spesso va in tilt. Ecco il contrario della felicità, come dimostra un test su cinque topini. A ciascuno, nella sua celletta, veniva inferta una scarica elettrica del tutto casuale, ma solo uno disponeva di una leva che gli dava l’illusione di bloccare la tortura. Alla fine tutti avevano ricevuto la stessa dose, eppure a vivere più a lungo fu proprio la cavia che pensava di non essere vittima del caso: una regola per inoltrarsi nei territori della felicità - spiegano i neuroscienziati - è la riduzione dell’incertezza. «Non importa tanto essere poveri - sintetizza Robert Sapolski - quanto sentirsi poveri». L’emotività, quindi, è a doppio taglio. Mentre ci aiuta, altera le aspettative su amore, lavoro e denaro. Un pasticcio, complicato dal fatto che oggi «ci ritroviamo a gestire 40 anni supplementari di vita, ma con risorse di conservazione dimensionate per un arco di tempo che non giungeva nemmeno alla metà di quello attuale». Tempi biologici e tempi mentali si divaricano pericolosamente e un esito possibile - scrive Punset - è tenere insieme tutto con la provocazione di una formula.

La felicità è un’interazione creativa: in gioco ci sono i fattori di riduzione del rischio, quelli legati al controllo dell’immaginazione e altri ancora, che toccano la ricerca di percorsi alternativi. Ogni Nobel lo insegna: il modo migliore per non vincere il Premio è inseguirlo con sistematica e ottusa ostinazione.
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