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Messaggio Da Maurizio Sab Ott 24, 2009 12:21 pm

Fonte: La Stampa
Dicono i colleboratori di Giulio Tremonti che il ministro si è parecchio rabbuiato quando, una decina di giorni fa, ha assistito a una crudele doppietta del Corriere della Sera: Francesco Giavazzi prima e Piero Ostellino poi. «E’ cominciato l’accerchiamento», avrebbe sibilato. Giavazzi (tornato ieri sulla riduzione delle tasse con rara crudeltà) definì «punitiva l’Irap» e Ostellino, commentatore attento alle ragioni del centrodestra, rilanciò la necessità dell’allentamento della pressione fiscale prima che diventasse tema del Giornale e di Libero.

Ora la questione si è dunque fatta puramente politica e strategica, perché i soldi pesano anche in cabina elettorale e negli equilibri di governo, e perché l’ottimista Silvio Berlusconi non si preoccupa se mancano denari per abbassare l’Irap: arriveranno col rilancio dei consumi e degli investimenti. E però, dieci giorni fa, Tremonti aveva avuto la sensazione che la diga del rigore si fosse crepata.

Non si capisce mai se il ministro sia più intelligente o dietrologico, ma nella ribellione fiscale del Corriere aveva intuito un ulteriore segnale del rialzamento di capo delle banche, che nei momenti più critici aveva sbeffeggiato e creduto di tenere per la collottola; e poi era troppo recente la decisione di due colossi come Unicredit e Intesa di rinunciare ai Tremonti bond. Come dire: dei savalgenti ministeriali ci facciamo niente. Preferiscono affidarsi al mercato in ripresa.

E così, con l’idea che le vacche grasse stiano per tornare, si avanzano rancori e desideri di rivincita, e il pericolo per Tremonti è quello di trovarsi pochi al fianco. Umberto Bossi con classica brutalità ha spiegato che vogliono far fuori Tremonti, e Roberto Calderoli, pochi giorni fa, aveva tirato in ballo un certo Gran Mestatore, individuato in Gianni Letta. Dentro la Lega sono persuasi che Tremonti sia insostituibile, anche per questioni di equilibrio politico, ma conservano il dubbio che vada difeso fino a un minuto prima: poi prevale Berlusconi.

Tremonti è un fucile carico nel governo, la testa di ponte verso il federalismo, l’uomo che trattando da straccivendoli i banchieri ha fatto godere il popolo dei piccoli imprenditori e degli artigiani di Padania, ma il garante del federalismo è il premier. L’ipotesi straprevalente nella maggioranza è che bisogna mettere carburante per le Regionali, che per far le riforme serve pace sociale, che si debba ricominciare a spendere.

Argomenti che Bossi non negherebbe (per Roberto Cota l’abolizione dell’Irap è una vecchia idea leghista), che Mario Baldassarri ha messo nero su bianco, che buona parte degli ex di An apprezza. Sarebbe però un errore limitarsi ad alte dottrine economiche. Tre quarti del governo ce l’ha con Tremonti per i modi e per il ruolo di secondino che s’è dato: innanzitutto Claudio Scajola, per mille motivi di competenza, ma non c’è intervento, dalle riforme di Mariastella Gelmini, alle politiche per il Sud, a quelle per la sicurezza, su cui Tremonti non abbia posto un diritto di veto per ragioni di bilancio; in compenso arriva in Consiglio dei ministri sventolando foglietti (l’ultima volta sulla Banca del Sud) da lui partoriti ed elevati a leggi immodificabili.

Letta, notissimo tessitore, è stufo di strappi. Gli tocca di rassicurare i colleghi di gabinetto, quelli dell’Abi, chiunque, persino il Vaticano, che contro Tremonti non ha nulla, malgrado il ministro si spacci per consigliori del Papa sui temi sociali trattati nell’enciclica; ma è che in Vaticano non amano i personalismi e, se devono scegliere, scelgono a occhi chiusi Letta, nonostante Tremonti stringa buoni rapporti con Ettore Gotti Tedeschi, nuovo presidente dello Ior.

Addirittura i parlamentari - che pure non pesano più nulla - si augurano che Tremonti si ammorbidisca nella speranza di non dover più timbrare una Finanziaria blindata, e di ricominciare a metterci dentro i microprovvedimenti che consolidano il loro prestigio sul territorio. E insomma, Confindustria è tradizionalmente aperta al ministro che gli danno, ma sul taglio all’Irap è la più contenta. Mario Draghi, con Tremonti, se le dà con eleganza da anni, dibattono se la colpa della crisi sia più degli economisti o dei politici, e le ultime repliche del governatore contengono qualche asprezza nuova.

Con Tremonti, oltre alla Lega, rimane poca roba. L’Aspen, prestigioso istituto trasversale coi suoi agganci internazionali. La stella oscurata di Guido Rossi. Qualcosa dentro la Chiesa. E forse non è un caso se ieri Tremonti ha detto che l’Irap è legata al federalismo, per consolidare il rapporto con la Lega, e se ha scucito alle Regioni, in tema di sanità, i quattrini che fin qui aveva negato. E se, in serata, si è preso il caldo elogio di Sandro Bondi, uno che con Berlusconi si sente spesso.
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