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Messaggio Da Maurizio Mar Ott 06, 2009 12:26 pm

La Stampa
Alla fine, l’utilizzatore era Silvio Berlusconi. Il giudice civile Raimondo Mesiano, al presidente del Consiglio in carica dedica 4 pagine intere della monumentale sentenza con cui obbliga la Fininvest a risarcire la Cir con la cifra record di 749 milioni 955 mila 611 virgola 93 euro per l’affaire Mondadori. Quattro pagine in cui il giudice riscrive a fini esclusivamente storici l’intero iter della vicenda penale, «della corruzione del giudice Metta» attuata da Cesare Previti «con la consapevolezza e l’accettazione» di Silvio Berlusconi. Al giudice civile Mesiano, interessa poco perché non è di sua competenza l’iter penale del processo, sapere che per Silvio Berlusconi è già stata «pronunciata sentenza irrevocabile, che ha dichiarato il reato estinto per prescrizione».

Quel che conta è la sostanza dei fatti. E’ la storia dietro quella maxitangente da 2,7 milioni di dollari con cui è stata riscritta da un giudice corrotto la battaglia di Segrate, danneggiando la Cir di Carlo De Benedetti a favore della Fininvest di Silvio Berlusconi. Scrive il giudice milanese a pagina 121 della sentenza con cui motiva il maxi risarcimento: «Sarebbe naturalmente fuori dell’ordine naturale degli accadimenti umani che un bonifico di circa 3 miliardi di lire sia disposto ed eseguito, per le dimostrate finalità corruttive, senza che il “dominus” della società, dai cui conti il bonifico proviene, ne sia a conoscenza e lo accetti». Chi sia il “dominus”, il giudice Mesiano, nello scrivere la sentenza nel suo ufficio al sesto piano del palazzo di giustizia di Milano, non ha alcun dubbio: «E’ noto che Fininvest spa è società appartenente alla famiglia Berlusconi, il cui azionariato è suddiviso all’interno di una ristretta cerchia di soci».

I fatti che hanno portato al maxirisarcimento a favore della Cir, motivato nella sentenza civile dal giudice Mesiano sono arcinoti. Si tratta della sentenza che nel 1991 segnò la vittoria di Fininvest sulla Cir per il controllo della Mondadori di Segrate. Sentenza scritta «a seguito della corruzione del giudice Metta», pagato da Cesare Previti con 400 milioni di vecchie lire provenienti dai conti Fininvest. Ricorda il giudice civile milanese: «Quel verdetto ha capovolto completamente il giudizio del lodo, pronunciando la nullità dei patti di sindacato contenuti nella convenzione del 1988». Insiste nelle sue motivazioni il giudice Mesiano: «Cesare Previti aveva da parte di Fininvest e Berlusconi un mandato generale a curare, ai massimi livelli, gli interessi legali della convenuta». Come se non bastasse l’analisi storica, per il giudice Mesiano c’è l’articolo 2904 del codice civile a spiegare il tipo di rapporto intercorso tra Previti e Berlusconi, la responsabilità almeno in via civilistica che intercorreva tra il legale romano che sarebbe diventato un giorno senatore di Forza Italia e il “dominus” della Fininvest destinato tre anni dopo ad entrare per la prima volta a Palazzo Chigi: «I padroni ed i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti».

Fatti noti. Vicende al centro di contenziosi giudiziari infiniti. Di cui anche a vent’anni di distanza la lettura è tutt’altro che facile. Vero che il giudice Metta fu corrotto. Vero che a pagare fu la Fininvest. Stabilito dal giudice civile che insieme a Cesare Previti fu «corresponsabile» in questa vicenda Silvio Berlusconi. Impossibile sapere se davanti a un altro giudice, Carlo De Benedetti avrebbe «sicuramente vinto» la battaglia per il controllo della Mondadori. Su questo il giudice Mesiano non si può sbilanciare più di tanto: «Appare più aderente alla realtà del caso determinare concettualmente il danno subito da Cir come danno da perdita di chance. Vale a dire, posto che nessuno sa come avrebbe deciso una Corte incorrotta, certamente è vero che la corruzione del giudice Metta privò la Cir della chance di ottenere da quella Corte una decisione favorevole».

A quanto ammontassero le chance della Cir il giudice Mesiano lo ha pure calcolato. E sulla base di quel calcolo ha stabilito al centesimo il risarcimento. Scrive il giudice: «E’ congruo determinare che la Cir aveva l’80% delle chance». Trovata la percentuale di probabilità è poi solo una questione di numeri: oltre 284 milioni di euro sono il danno patrimoniale subito da Cir a cui vanno aggiunti 8 milioni e passa euro per le spese legali e altri 20 milioni e rotti per danni da lesione dell’immagine della Cir. In tutto fanno 312 milioni 917 mila 463 euro che «rivalutati dalla data di commissione dell’illecito» fanno 937 milioni 444 mila 514 euro. Ma il giudice riconosce alla Cir solo l’80% di quella cifra, come 80% erano le probabilità che vincesse davanti a un giudice non prezzolato. In tutto fanno la bella cifra di quasi 750 milioni di euro. Un record nella storia dei risarcimenti giudiziari in sede civile. Ma non è finita qui. A questa maxi cifra vanno aggiunti ancora i danni non patrimoniali sopportati dalla Cir «la cui liquidazione spetta ad altro giudizio».
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Messaggio Da Maurizio Mar Ott 06, 2009 12:27 pm

La Stampa
Berlusconi è «letteralmente allibito» per la sentenza sul Lodo Mondadori che a suo parere è «al di là del bene e del male, certamente una enormità giuridica». Ma per il premier è anche un’enormità politica se in un comunicato scritto ieri ad Arcore aggiunge un messaggio esplicito a «tutti gli oppositori»: «Sappiano comunque che il governo porterà a termine la sua missione quinquennale e non c’è nulla che potrà farci tradire il mandato che gli italiani ci hanno conferito».

La migliore difesa è l’attacco, e il leader della maggioranza chiama a raccolta il suo esercito alla vigilia della decisione della Consulta sul Lodo Alfano che lui considera «l’attacco finale». «Tutto è possibile», confida Berlusconi ai suoi collaboratori, ma allo stesso tempo nutre ancora la convinzione che i giudici costituzionali abbiano a cuore gli interessi del Paese. Nessuno, è il suo ragionamento, vuole sei mesi di campagna elettorale.

Attraverso i suoi collaboratori Berlusconi fa sapere di essere pronto pure a elezioni anticipate. Se il Lodo Alfano saltasse e si arrivasse alla richiesta di sue dimissioni dopo una condanna nel processo Mills, allora la situazione potrebbe precipitare verso le urne, solo come extrema ratio. Ma sembra un’arma spuntata, una mossa difensiva per fare paura. Non ci crede nemmeno Bossi. «Se vogliono lo scontro, ci sarà il voto. Io non mollo», ripete il premier, che non crede però a trame di palazzo con una regia che arriva fin dentro la maggioranza.

E infatti l’esercito risponde alla chiamata alle armi serrando i ranghi, a cominciare da Fini. «La maggioranza è quella che esce dalle urne perché si vota la coalizione e gli italiani sulla scheda hanno trovato il nome del candidato premier». L’atteggiamento di Fini, spiegano a Montecitorio, è inversamente proporzionale alle fortune del Cavaliere: lo critica se le cose vanno bene; si ricompatta se vanno male, come è sempre successo in questi ultimi 15 anni.

Altrettanto non si può dire per l’altro generale del centrodestra, Bossi, che in passato ha preso la sua strada nei momenti difficili. Ma ora assicura fedeltà: «Berlusconi ha la nostra alleanza, la nostra forza: una massa di voti enorme che trascina la Lega». Bossi non crede che si andrà a elezioni anticipate: «In ogni caso siamo pronti». «La verità - spiega il capogruppo Pdl Cicchitto - è che Berlusconi è al massimo della popolarità e se qualcuno pensa di trovare la maggioranza vulnerabile avrà pane per i suoi denti». Cicchitto con gli altri capigruppo del Pdl ha firmato una nota congiunta nella quale si denuncia un «disegno eversivo» che punta «a sovvertire la sovranità popolare.

Cicchitto, Gasparri, Bocchino e Quagliariello inseriscono in questo disegno eversivo la sentenza sul Lodo Mondadori. I loro colleghi del Pd rispondono scandalizzati: si tratta di «un’arrogante rivendicazione di impunità e patetica denuncia di complotti» per nascondere il fallimento del governo. Per Finocchiaro, Soro, Zanda e Sereni la nota congiunta è «gravissima»: «Nelle parole degli esponenti del Pdl c’è tutta la spudoratezza di chi considera le aziende e i comportamenti del premier al di sopra delle leggi penali, amministrative e civili e financo delle leggi etiche».

Fiato sospeso per il pronunciamento della Consulta. Anche se il ministro La Russa è convinto che verrà confermata la costituzionalità del Lodo Alfano. Ma Berlusconi teme il peggio. Il tribunale di Milano, motivando la condanna di Fininvest, lo presenta come un corruttore. In questo modo, spiegano nella maggioranza, vengono condizionati quei giudici costituzionali indecisi, mentre fino a pochi giorni fa c’erano segnali incoraggianti.

Se il Lodo Alfano dovesse essere bocciato, passeranno almeno 3 mesi prima di un’eventuale condanna del premier per il caso Mills. Il tempo necessario per organizzare il 5 dicembre un’imponente manifestazione e portare a Piazza San Giovanni un milione di persone, come il 2 dicembre del 2006: una massa d’urto popolare che al tribunale di Milano non potrà passare inosservata.
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